RADICI

Contadino che sta suonando il flauto, in un momento di pausa dal duro lavoro dei campi, Courmayeur, 1925
Contadino che sta suonando il flauto, in un momento di pausa dal duro lavoro dei campi, Courmayeur, 1925

Introduzione

"Radici" è un viaggio che analizza la connessione ancestrale e indissolubile tra l'uomo e la natura. Questo legame, risalente a epoche remote e tempi immemorabili, permea le credenze, le tradizioni culturali e persino la biologia umana. Nonostante la storia registri variazioni nel rapporto tra l'uomo e l'ambiente naturale, tale legame rimane saldo e necessario, manifestandosi in molteplici forme significative. Tuttavia, l'utilizzo eccessivo e sregolato delle nuove tecnologie, la globalizzazione e l'industrializzazione contribuiscono progressivamente a distanziare l'essere umano dalla natura. Pur riconoscendo i vantaggi del progresso, è essenziale riflettere anche sui suoi risvolti negativi, come l'allontanamento dall'ambiente naturale, senza però indulgere in discorsi moralistici. Riflettendo su questi temi, il cuore mi porta verso la mia regione, la Valle d'Aosta, caratterizzata da una storia che mi scorre nelle vene. Esaminando la comunità valdostana dei primi del XX secolo, si può notare un rilevante confronto nel modo in cui questa popolazione viveva e si relazionava con il mondo circostante rispetto alla società moderna. È per me un'opportunità poter riflettere su queste incredibili differenze, ma anche per rendere omaggio alle tradizioni, agli antichi saperi e ai valori che hanno caratterizzato e arricchito la cultura dei valdostani. Sono andata così alla riscoperta dell'abbigliamento tipico, dei secret, le antiche formule di guarigione, dei riti, della fede, delle feste che accompagnavano la quotidianità e dell'artigianato, cercando di comprendere non solo come si viveva, ma anche quale fosse il significato che si attribuiva alla natura e alle montagne che circondavano il mondo dei valdostani. La storia della mia terra e delle sue genti infatti, mi offre uno spunto prezioso per esplorare il legame indissolubile che ci lega al mondo naturale. Questo viaggio nelle radici mi spinge anche a scrutare il presente, a interrogarmi sul modo in cui noi viviamo oggi. Mi trovo a riflettere sulla frenesia che caratterizza la nostra società moderna, un turbine incessante di attività che raramente ci permette di fermarci e rallentare. Ciò ci rende ciechi riguardo all'importanza della semplicità, delle cose basilari che arricchiscono la vita. La mia riflessione non mira a suggerire un ritorno al passato o a idealizzare un'epoca precedente, al contrario, invita semplicemente a guardare più attentamente alla nostra realtà contemporanea. Non voglio dire che dovremmo vivere come si faceva un tempo, né che dovremmo respingere il progresso. È piuttosto un invito a considerare le sfumature che spesso trascuriamo nel vortice della vita moderna, cercando di aprire gli occhi sulla bellezza dei gesti semplici, sulla ricchezza della condivisione e del rispetto. È un modo per mantenere vive le nostre origini, l'identità del popolo e del luogo a cui apparteniamo. Ciò che siamo è il risultato di ciò che siamo stati e di ciò che "sono stati", noi siamo fatti di storia e di RADICI.

Uomo e Natura, un legame ancestrale

«Questo sappiamo.

Che tutte le cose sono legate come il sangue che unisce una famiglia …

Tutto ciò che accade alla Terra, accade ai figli e alle figlie della Terra.

L'uomo non tesse la trama della vita; in essa egli è soltanto un filo.

Qualsiasi cosa fa alla trama, l'uomo la fa a se stesso».

Giotto, La predica agli uccelli, dalle Storie di san Francesco
Giotto, La predica agli uccelli, dalle Storie di san Francesco
Venere di Willendorf
Venere di Willendorf

La vita di una volta in Valle d'Aosta

Anziano contadino che sta mietendo il grano e sullo sfondo la chiesetta di Moron, Saint-Vincent, 1944
Anziano contadino che sta mietendo il grano e sullo sfondo la chiesetta di Moron, Saint-Vincent, 1944

Vita rurale nei villaggi valdostani nei primi del Novecento

"I valdostani erano prettamente allevatori e agricoltori, ogni famiglia possedeva una o due mucche e chi ne aveva tre era considerato fortunato. Era necessario provvedere al nutrimento degli animali attraverso il foraggio che veniva tagliato nel periodo della fienagione. Trenta fascine erano sufficienti per il sostentamento invernale di un animale e venivano accatastate nella stalla. La giornata iniziava alle cinque del mattino con la mungitura delle mucche, continuava poi con il lavoro dei campi che erano coltivati a segale e a patate. La mietitura veniva svolta a mano, con le falci, senza alcun mezzo meccanico e tutta la famiglia partecipava al lavoro, compresi i bambini. La falce veniva battuta a mano frequentemente per rendere più affilata la lama. Il fieno veniva raccolto in grandi teli chiamati "florioi"1, che una volta caricati sulle spalle o sul mulo, venivano riposti nel fienile. Il lavoro agricolo durava tutto il giorno e si concludeva con il calare del sole. L'aiuto reciproco era naturale, non esistevano ruoli specifici, ma tutti si spendevano dove era necessario. Ci si aiutava anche tra famiglie portando a termine il lavoro degli altri e quando serviva venivano scambiati e imprestati gli attrezzi e gli animali, il mulo infatti veniva spesso condiviso. L'unico giorno di riposo era la domenica in cui ci si divertiva con quello che si aveva, era comune giocare a bocce e alla morra, condividendo il poco cibo a disposizione. A Rhêmes-Notre-Dame i piccoli durante l'inverno frequentavano la scuola di paese e gli alunni erano ventiquattro, ai giorni nostri non è più attiva, poiché non vi sono più bambini che vivono in questo paesino. Questa situazione non è un caso isolato, ma purtroppo rappresenta una realtà diffusa in ogni villaggio di montagna, che viene ripopolato in alta stagione dagli abitanti del posto attraverso le seconde case o dai turisti affezionati. I più piccoli non erano esenti ai lavori più duri, aiutavano infatti la famiglia dopo la scuola e spesso andavano al pascolo.

La vita era semplicissima, ma sono rimaste nella testa tante cose, bastava infatti un pezzo di pane di segale e un rifugio caldo per soddisfare la vita dei montanari".



Lavoro dei campi a Saint-Nicolas, 1918
Lavoro dei campi a Saint-Nicolas, 1918

L'abbigliamento

L'abito femminile

L'abito possedeva un corpino aderente sagomato sotto le ascelle sostenuto da due bretelle, reso rigido dalle stecche di fibra vegetali, attaccato alla pesante gonna arricciata nella parte posteriore. Spesso le balze ornavano la gonna e servivano anche per possedere tessuto in esubero, indispensabile per adattare l'abito alle diverse proprietarie. Il tessuto più pregiato, quindi il drap più sottile, era riservato al corpino e a volte le cuciture delle bretelle erano sfruttate come elemento decorativo. Il costume comprendeva poi la camicia, il grembiule, la giacchetta, a volte la pettorina uso camicia, la pettorina, il fazzoletto e la cuffia. Quest'ultima spesso era dono del marito o rappresentava un'eredità nelle famiglie benestanti e poteva possedere ricchissimi ornamenti, come fili metallici dorati, pietre semipreziose, lustrini e perline. Vi erano cuffie anche più semplici, come quelle in stoffa, montate su una base di cartone per rendere rigida la calotta e guarnite con arricciature o merletti.

L'abito femminile festivo

L'abito da festa, al contrario di quello quotidiano, era confezionato sulle misure del futuro propietario. La sua creazione, richiedeva una cura particolare; le popolane, di solito, ne possedevano uno solo, attribuendogli così un valore prezioso. Tutti gli indumenti erano simili, ma differenti, infatti ognuno donava un tocco personale al proprio, arricchendolo con piccoli ornamenti.

Rapporto con la natura e la montagna 


Il rapporto che i valdostani avevano con la natura era molto semplice, ma profondo, fatto di complicità e rispetto. Vivevano in un costante dialogo con l'ambiente circostante, riconoscendo i cicli naturali e adattandosi di conseguenza. Ogni stagione portava con sé compiti specifici, dai lavori agricoli, alla raccolta delle erbe montane e i valdostani rispondevano con attenzione e gratitudine alle offerte della terra. Intervistando Louis Oreiller, ho capito che per i valligiani di una volta non c'era nemmeno da domandarsi se il mondo naturale fosse da rispettare o meno. Era una di quelle cose scontate, una regola non scritta, una componente fondamentale del loro essere. Il rispetto per la natura era radicato profondamente nella cultura e nella mentalità di ognuno. Era una convinzione incrollabile, una parte integrante del loro modo di vivere. Non era solo una questione di principio morale, ma una necessità pratica. L'ambiente era considerato sacro, e trattarlo con rispetto era fondamentale per garantire la propria sopravvivenza. Se non si rispettava la terra, questa non avrebbe dato i suoi frutti. Era una lezione che ognuno imparava fin da piccolo: se si coltivava con cura e si proteggeva l'ambiente circostante, il terreno ricambiava con abbondanza.



La montagna è da sempre presente nell'animo dei valdostani. Essi sono nati e cresciuti tra questi giganti silenziosi, consolidando un legame inevitabile, che è entrato nel tessuto della loro identità. Gli aspri rilievi hanno da sempre educato gli abitanti al rispetto, sfidandoli con i loro pendii ripidi e selvaggi. Essi ne conoscono ogni piega, sapendo dove edificare, coltivare e condurre il bestiame al pascolo in sicurezza. Con l' imponenza e la maestosità, hanno da sempre ispirato un senso di sacralità nell'umanità. Da culture antiche a tradizioni moderne, le vette sono considerate luoghi sacri, portatori di un'energia primordiale che risuona nell'animo umano. La sacralità della montagna è profondamente radicata nel suo essere. Essa si erge verso il cielo, toccando le nuvole e avvicinandosi al divino, trasmettendo un senso di trascendenza e di elevazione spirituale. Il rispetto per la montagna non è solo una questione di convenzione sociale o di norme di comportamento, ma è un principio fondamentale che deriva dalla consapevolezza della sua grandezza e della sua potenza. 

Woman's wear fall winter

Concept

La mia collezione di moda nasce da un profondo legame con le mie radici e unisce aspetti fondamentali della mia personalità e della mia storia. Questo progetto è un viaggio antropologico che analizza gli usi e costumi della popolazione valdostana dell'inizio del Novecento e si intreccia con il rapporto intrinseco tra uomo e montagna. In un'epoca in cui il passato sembra spesso distante, ho cercato di creare una connessione viva e palpabile tra passato e presente. Per realizzare questa visione, mi sono ispirata agli abiti tradizionali valdostani, che raccontano storie di una cultura ricca e profondamente legata al territorio. Ho voluto rendere omaggio a queste forme storiche, reinterpretandole con dettagli e tessuti tipici del mondo della montagna contemporanea. La scelta delle stoffe è stata fondamentale: materiali resistenti e funzionali, utilizzati nella vita quotidiana nel mondo alpino. Questo connubio tra tradizione e modernità, non solo celebra le mie radici, ma rappresenta un modo per fare emergere quegli aspetti ormai perduti, come la spiritualità e i gesti semplici ma significativi della vita quotidiana di un tempo. La montagna è una parte essenziale di chi sono e rappresenta un legame ancestrale radicato in me da sempre. La connessione profonda che sento con questo ambiente, si riflette in ogni capo della collezione, trasmettendo quel senso di appartenenza e armonia con la natura che per me è fondamentale.

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